Internet, offuscando il confine tra ciò che è personale e ciò che è professionale, ha modificato in modo irreversibile la natura della self-disclosure e della trasparenza degli psicoterapeuti. Con un semplice clic di mouse, la maggior parte delle vite personali degli psicoterapeuti possono essere facilmente a portata di mano dei clienti.
di Giorgia Lauro
Quando si parla di self-disclosure, termine traducibile con “rivelazione di sé o auto-rivelazione”, si fa riferimento ad un concetto del mondo psicoanalitico, che indica uno svelamento cosciente e voluto, da parte del terapeuta, di qualche aspetto di sé al paziente.
Più nello specifico si può parlare di self-disclosure quando il terapeuta divulga informazioni che non riguardano la relazione terapeutica. Nel contesto della psicoterapia questa forma di trasparenza include anche la divulgazione di materiale non verbale e non intenzionale (Jourard, 1971).
Nel presente articolo, pubblicato sulla rivista “Professional Psychology: Research and Practice” (Zur et al., 2009), il concetto di trasparenza fa riferimento a tutte le informazioni a disposizione dei clienti sui loro psicoterapeuti, indipendentemente da come i clienti acquisiscono queste informazioni. Più nel dettaglio, si cercherà di comprendere come Internet ha modificato in modo irreversibile la natura della self-disclosure e della trasparenza degli psicoterapeuti.
Esistono diverse tipologie di auto-divulgazione, alcune delle quali sembrano a volte sovrapporsi o addirittura contraddirsi a vicenda. In tutti questi casi la chiave di lettura può essere fornita solo riflettendo sull'intenzionalità divulgativa dello psicoterapeuta.
Una prima forma di self-disclosure prende il nome di auto-rivelazione deliberata (Deliberato Self-Disclosure). L'accezione deliberata sottolinea nell'immediato come sia una volontà intenzionale del clinico di condividere informazioni personali con i proprio clienti, che possono riguardare lo stato civile, l'età, l'orientamento spirituale, la storia personale, l'orientamento sessuale e così via.
Gli aspetti non verbali di questo tipo di self-disclosure riguarda la presenza di fotografie di famiglia all'interno dello studio, o risposte fisiche di gioia o disgusto che rivelano atteggiamento o valori personali. Da questo punto di vista, il clinico ricorre intenzionalmente ad un certo tipo di abbigliamento, porta simboli religiosi o gioielli particolari (Barnett, 1998; Farber, 2006; Zur, 2007).
Nell'era di internet, la presenza di siti web personali, costruzione di pagine professionali sui social media, un'ampia biografia personale e professionale determina una nuova forma deliberata di self-disclosure.
Lo sviluppo tecnologico ha infatti determinato nei suoi fruitori uno spostamento di ruolo, in quanto i “clienti, pazienti” si percepiscono maggiormente come “consumatori”, sentendosi autorizzati a ricercare il maggior numero di informazioni sui loro caregiver, inclusi i professionisti della salute mentale, con l'obiettivo di prendere la miglior decisione informata rispetto alla cura della propria salute (Zur, 2008). Pertanto, il mondo online, in particolar modo Google è divenuto il luogo in cui ricercare queste informazioni.
Una seconda forma di auto-rivelazione prende il nome di Self-disclosure inevitabile (Unavoidable self-disclosure). A differenza della prima, questo tipo di divulgazione non è né intenzionale né evitabile. In questi casi le rivelazioni di Sè fanno riferimento all'aspetto personale del terapeuta, l'arredamento scelto per lo studio e via dicendo.
L'essere parte integrante di una comunità determina automaticamente una divulgazione naturale su alcuni aspetti del clinico come il genere, l'età, disabilità facilmente riconoscibili e così via (Farber, 2006; Stricker e Fisher, 1990). A questi elementi si aggiungono l'abbigliamento, l'acconciatura, l'uso o meno del trucco per le donne, presenza o assenza di gioielli, presenza o assenza di fedi nuziali.
Ovviamente questa forma di divulgazione può essere un atto deliberato, ma anche essere espressioni accidentali legati al gusto personale dello psicoterapeuta, così come all'identità culturale del luogo.
Alcune scelte del clinico costituiscono inoltre un rivelazione di sé inevitabile. Quando ad esempio lo studio clinico si trova dentro la casa di famiglia, automaticamente il cliente può dedurre informazioni circa la condizione economica, il gusto personale, aspetti familiari e così via (Zur, 2007).
Infine, una terza forma di auto-divulgazione è quella che viene definita accidentale (Accidental Self-disclosure), in cui si rivelano alcune informazioni personali da parte del clinico al cliente, come ad esempio risposte emotive positive o negative rispetto alla scelta del cliente di sposarsi, oppure di cambiare lavoro o interrompere il trattamento.
Altre forme di rivelazione accidentale subentrano quando il cliente si trova a stretto contatto con lo psicoterapeuta in un luogo pubblico.
Rispetto a questo breve excursus è bene precisare che la self-disclosure dello psicoterapeuta può definirsi appropriata, benigna, o inappropriata a seconda dei casi. Nel caso di rivelazioni di Sè appropriate, queste possono essere definite etiche e clinicamente guidate quando vengono impiegate intenzionalmente dal clinico per promuovere il benessere del cliente o perché aventi una loro logica clinica.
Psicoterapeuti che condividono alcuni elementi simili alla storia del paziente, come aver perso un genitore o avere dei figli adolescenti, possono aiutare i clienti a sentirsi compresi nel loro dolore e difficoltà, rafforzando così l'alleanza terapeutica.
Forme di auto-rivelazione benigna fanno invece riferimento a tutte quelle rivelazioni deliberate, non deliberate o inevitabili, come ad esempio arredamento dell'ufficio, scelta dell'abbigliamento e simili. Nonostante tali informazioni vengano considerate come appartenenti alla realtà quotidiana e scelte personali dello psicoterapeuta, in realtà presentano un significato clinico che dovrebbe essere tenuto in considerazione.
La self-disclosure inappropriata o non eticamente orientata fa riferimento a tutti quegli elementi che pongono il clinico in una sorta di inversione di ruolo rispetto al cliente.
Un esempio potrebbe essere un divorzio appena avvenuto, che porta il clinico a condividere con il cliente i propri sentimenti di solitudine al fine di ottenere supporto dal cliente o, peggio, quando il clinico rivela la presenza di una attrazione sessuale verso il cliente (Gutheil & Gabbard, 1993; Knox et al., 1997).
Secondo alcuni autori (Lazarus & Zur, 2002; Younggren e Gottlieb, 2004), la comprensione del significato della self-dislosure può essere valutata esclusivamente nel campo della psicoterapia. Il contesto del trattamento include infatti alcuni fattori tra cui il cliente, l'ambiente, la tipologia di psicoterapia e lo psicoterapeuta (Zur, 2007).
Il trattamento dei veterani di guerra o clienti appartenenti ad alcune minoranze etniche possonoinfatti richiedere un'ampia rivelazione di Sè da parte del clinico al fine di determinare una fiducia di base. L'evitamento di tali divulgazioni può determinare lo strutturarsi di un ambiente in cui lo psicoterapeuta è percepito come rigido e freddo, per cui incapace di accogliere la realtà del paziente.
Ovviamente le divulgazioni si rivelano appropriate in determinati contesti clinici, ad esempio nel lavoro con bambini o gruppi di adolescenti, ma potrebbero essere inappropriate nella psicoterapia individuale con adulti. Anche i diversi approcci teorici in campo psicoterapeutico promuovono visioni differenti.
Ad esempio, la psicoterapia di stampo esistenziale e/o umanistico ritiene che la self-disclosure sia elemento fondamentale nel rafforzare l'alleanza terapeutica, nonché predittrice di un esito positivo ed una relazione egualitaria (Williams, 1997; Jourard, 1971).
Gli psicoterapeuti di stampo cognitivo-comportamentale possono invece ricorrere alla rivelazione di Sè per normalizzare o modellare alcune credenze cognitive del cliente.
Ciò che sottolineano gli autori è che, a prescindere dall'orientamento teorico, anche la cultura, lo stile di vita e la socializzazione professionale degli psicoterapeuti sono fattori che determinano le loro modalità di auto-divulgazione.
Come Google ha modificato la trasparenza dello psicoterapeuta
La letteratura professionale ha spesso evidenziato alcune situazioni in cui i clienti, spinti dalla curiosità, hanno chiesto informazioni sui loro psicoterapeuti all'interno della comunità. Vi sono ovviamente casi in cui la presenza di gelosia, ossessioni o aspetti vendicativi ha spinto i clienti a dichiarare di aver perseguitato illegalmente i propri psicoterapeuti e/o le loro famiglie (Galeazzi, Elkins e Curci, 2005).
L'avvento di internet e la possibilità di ricercare informazioni tramite i motori di ricerca spinge molto di più i clienti ad adottare comportamenti di ricerca. Da questo punto di vista internet offusca il confine tra ciò che è personale e ciò che è professionale. Con un semplice clic di mouse, la maggior parte delle vite personali degli psicoterapeuti possono essere facilmente a portata di mano.
Behnke (2008) afferma che non solo non vi è una linea di demarcazione chiara tra il dominio privato e quello professionale, ma ritiene che “in un arco temporale di pochi anni, il regno privato è diminuito in modo significativo con una corrispondente espansione nel dominio di ciò che è pubblico” (p.75).
Il XXI° secolo è infatti caratterizzato da una cultura del consumo caratterizzata da alte aspettative da parte dei clienti a cui seguono richieste di trasparenza dello psicoterapeuta.
Oggi, come si evidenziava nella parte iniziale del presente lavoro, il cliente/paziente si considera innanzitutto come un consumatore. Un'accezione del genere porta l'utente ad avere un maggiore interesse nel comprendere come e per chi spenderà i suoi soldi, determinando così una ricerca approfondita di informazioni e quindi di trasparenza sugli ipotetici professionisti che potranno fornire loro una cura.
Questo ha quindi generato anche un cambiamento di prospettiva da parte dei professionisti che cercano di popolare internet della loro presenza attraverso la costruzione di siti web professionali o pagine professionali sulle piattaforme di social media, adattando tali costruzioni “a misura del consumatore” nel tentativo di fornire un miglior accesso al cliente (Zur, 2008).
Esistono diverse modalità in cui i clienti possono cercare informazioni online sui propri psicoterapeuti. Ovviamente, la capacità di reperire tali informazioni si correla automaticamente alla trasparenza che lo psicoterapeuta ha deciso di adottare.
Gli autori dell'articolo hanno quindi riportato la descrizione di sei livelli di ricerca online in cui i clienti possono impegnarsi nel tentativo di ottenere informazioni sui propri psicoterapeuti.
Ad un primo livello di ricerca, come già evidenziato, i clienti ricercano informazioni sui professionisti visitando i loro siti web professionali. Obiettivo del cliente, attraverso la visita al sito è quello di raccogliere informazioni di base sul clinico.
Nella scelta personale compiuta dallo psicoterapeuta circa la costruzione del sito professionale, e questo si ricollega alla trasparenza, il cliente non solo può trovarsi a consultare il Curriculum professionale ed i servizi offerti, ma anche fotografie del clinico, hobby e altre informazioni personali.
Una presentazione online di questo tipo genera una percezione del clinico come soggetto cordiale, competente ma anche amichevole, rivelando così una strategia base di marketing che è tipica dell'attuale era digitale.
Il secondo livello riguarda una ricerca specifica tramite il motore di ricerca di Google da parte del cliente sul loro attuale o potenziale psicoterapeuta. Questo è divenuto ormai l'approccio prìncipe, in quanto si accede ad una miriade di informazioni che possono essere state pubblicate dallo stesso clinico o da altri con o senza il permesso dello stesso. Attraverso una semplice ricerca su internet, il cliente può scoprire prontamente l'indirizzo di casa dello psicoterapeuta, dettagli sul nucleo familiare, orientamento sessuale, affiliazione politica e via dicendo.
Qualora il clinico abbia una presenza online legata alla pubblicazione e divulgazione di articoli, i clienti possono reperire facilmente i loro post su una varietà di siti web, blog personali, pagine social e leggere commenti positivi, reclami e critiche di ex clienti.
Il terzo livello di ricerca riguarda la presenza degli psicoterapeuti sui social network. Molti clienti potrebbero voler accedere ad informazioni personali dello psicoterapeuta e creare un profilo falso per stabilire “un'amicizia” con il clinico.
Ad un quarto livello vi sono poi tutti quei siti che ospitano elenchi di psicologi e/o psicoterapeuti, in cui il cliente ha la possibilità di interagire grazie a dei forum presenti. I clienti possono ricorrere a delle false identità per unirsi a tali rete, leggere i post o le risposte fornite dallo psicoterapeuta ad altri utenti, entrare a contatto con informazioni di altri clienti e via dicendo.
Il quinto livello di esplorazione riguarda situazioni in cui il cliente decide di pagare soggetti specializzati per effettuare dei controlli legali sul proprio clinico, o provare ad accedere a registri ad accesso pubblico. Una tale ricerca può riguardare documenti di divorzio, numero di matrimoni, indirizzi e casellario giudiziario.
Infine, il sesto e più invadente livello prevede il pagamento di soggetti che conducano ricerche illegali e altamente invasive, al punto da poter parlare di cyber-stalking. Utilizzando questo approccio, i clienti possono trarne vantaggio in quanto hanno la possibilità di accedere a registri fiscali e finanziari, registrazioni di dispositivi mobile e così via.
Conclusioni
Come si è potuto constatare la self-disclosure include la divulgazione di informazioni verbali e non verbali, intenzionali e non, evitabili e inevitabili da parte dello psicoterapeuta al cliente. Una rivelazione di sé clinicamente orientata è quella che promuove benefici per il trattamento.
La cultura digitale nella quale si è oggi inseriti ha generato nei clienti un'elevata aspettativa di trasparenza da parte dei fornitori di servizi di salute mentale.
I clinici devono pertanto operare riflessioni su come essere presenti online, in che modo strutturare i loro profili professionali, quali informazioni inserire e come preservare quel confine sfumato tra dominio pubblico e privato.
Considerato che Internet immagazzina ogni informazione che si va ad inserire, i professionisti dovrebbero periodicamente effettuare ricerche di sé stessi online su Google, scrivendo i propri nomi in diverse combinazioni.
Solo adottando tali accortezze si può procedere in attività di tutela del proprio operato clinico al fine di evitare tutte quelle implicazioni che potrebbero compromettere una relazione terapeutica attuale o potenziale.
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Bibliografia
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