Il presente articolo, pubblicato sulla rivista “Dialogues in Clinical Neuroscience” esplora l'impatto che i media digitali e la tecnologia producono sul nostro cervello rispetto ad aree cerebrali coinvolte nei processi di attenzione, linguaggio e prestazioni cognitive.

Di Giorgia Lauro

digitale come influenza cervello

Nell'opera “La macchina si ferma” (1909) dello scrittore Edward Morgan Forster, viene descritto uno scenario futuristico in cui una misteriosa macchina è in grado di controllare tutto, dalla fornitura del cibo alle tecnologie dell'informazione.

Si potrebbe quindi supporre che quanto scritto più di un secolo fa sia divenuto più che attuale: la tecnologia oggi è in grado di modificare stili di pensiero, abitudini e stili comunicativi. Nel racconto dello scrittore si sostiene inoltre che quando la macchina smetterà di funzionare la società collasserà.

Il presente articolo, pubblicato sulla rivista “Dialogues in Clinical Neuroscience” esplora l'impatto che i media digitali e la tecnologia produce sul nostro cervello. La società globale è stata popolata da strumenti elettronici quali smartphone, tablet, pc, rivoluzionando le abitudini quotidiane.

Secondo i dati raccolti da un'agenzia di comunicazione britannica (Ofcom), circa il 95% delle persone di età compresa tra i 16 ed i 24 anni possiede uno smartphone e lo controlla in media ogni 12 minuti. Rispetto agli adulti, le stime evidenziano che circa il 20% di essi trascorre più di 40 ore a settimana online. Per tale motivo si può sostenere che i media digitali, in particolar modo internet, sono divenuti aspetti centrali della nostra vita moderna.

Tali cambiamenti sollevano quindi domande importanti. L'autore del presente articolo, Martin Korte del Dipartimento di Neurobiologia Cellulare dell'Istituto Zoologico di Baurnschweig, Germania, si è chiesto in che modo il nostro cervello e la nostra mente riescono ad adattarsi a tali cambiamenti?

Le preoccupazioni circa gli effetti dell'uso dei media digitali sulla funzione e la struttura del cervello, nonché sulla salute mentale, fisica, sull'istruzione, sull'interazione sociale sono in aumento. L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS; 2019) ha infatti emanato Linee guide rigorose sul tempo che i bambini dovrebbero trascorrere davanti ad uno schermo, così come raccomandano un utilizzo limitato degli smartphone durante le ore scolastiche.

Tali raccomandazioni nascono a partire dalla constatazione nella letteratura scientifica che un uso intensivo dei dispositivi digitali determina una riduzione della capacità delle memoria di lavoro (Moisala et al., 2016; Swing et al., 2010), problemi psicologici quali ansia, depressione e disturbi del sonno ( Hoge et al., 2017; Turkle, 2011), e problemi di apprendimento quali difficoltà di comprensione del testo durante la lettura sugli schermi (Uncapher et al., 2017).

Rispetto a quest'ultimo aspetto i ricercatori (Mangen et al, 2019) hanno notato che la lettura di storie complesse in un libro stampato favorisce un miglior ricordo della storia, dei dettagli e la connessione tra gli eventi, rispetto alla lettura dello stesso testo su uno schermo.

Alla base di tali risultati vi è la constatazione che le parole che leggiamo su uno schermo a diodi luminosi (LED) o in un libro stampato sono le stesse; tuttavia, cambia la modalità con cui effettuiamo associazioni di fatti con i segnali spaziali e altri segnali sensoriali: la posizione di una pagina di un libro in cui leggiamo qualcosa in aggiunta, ad esempio, all'odore del libro sembra aumentare il ricordo.

Inoltre, la linguista e scienziata, Naomi Baron, ritiene che gli ambienti digitali determinano un coinvolgimento superficiale nell'analisi del testo modificando le abitudini di lettura. Questo potrebbe dipendere dal fatto che durante l'uso dei media digitali si passi spesso da un elemento all'altro (multitasking), un'abitudine che potrebbe ridurre la capacità di attenzione e contribuire ad innalzare il livello di diagnosi di Disturbo da Deficit di Attenzione ed Iperattività (DDAI) rispetto a 10 anni fa.

L'aspetto multitasking tipico del media digitali solleva quindi nuove riflessioni: è solo una correlazione o tale aspetto contribuisce, o addirittura causa, una maggiore incidenza di DDAI?.

Diverse ricerche supportano l'ipotesi che l'uso intensivo degli strumenti tecnologici sia correlato a deficit nella memoria di lavoro: il semplice fatto di vedere uno smartphone, senza nemmeno utilizzarlo, abbassa la capacità di memoria di lavoro e porta ad una diminuzione nell'attività cognitive (Ophir et al., 2009).

Secondo altri autori (Makin, 2018) i media digitali, in base all'utilizzo che se ne fa, possono produrre risultati positivi o negativi sul nostro cervello.

 

Uso dei media digitali e plasticità cerebrale.

Da un punto di vista neurobiologico per comprendere se l'uso dei media digitali produce un effetto sul cervello umano è importante esplorare se l'uso della punta delle dita sui touchscreen modifica l'attività corticale nella corteccia somatosensoriale.

Gindrat e colleghi (2015) hanno provato ad esplorare tale relazione. Il presupposto iniziale è che lo spazio corticale assegnato ai recettori tattili sulla punta delle dita è influenzato dalla frequenza di utilizzo della mano.

Ad esempio, i musicisti di strumenti a corda hanno più neuroni corticali nella corteccia somatosensoriale assegnati alle dita che usano per suonare lo strumento (Pantev, 2001). Questa “plasticità corticale della rappresentazione sensoriale” non è però limitata ai musicisti, in quanto si verifica anche con movimenti di presa spesso ripetuti.

Poiché anche l'utilizzo dello smartphone determina movimenti ripetuti delle dita sul touchscreen, Gindrat e colleghi hanno utilizzato l'elettroencefalogramma (EEG) per misurare i potenziali corticali in un campione che utilizzava dispositivi mobile dotati di touchscreen e comparati ad un altro campione che utilizzavano telefoni cellulari non sensibili al tocco.

I risultati sono stati notevoli, in quanto solo gli utenti con dispositivi touchscreen hanno mostrato un aumento dei potenziali corticali per la punta dell'indice e del pollice. Queste risposte erano inoltre statisticamente e significativamente correlate all'intensità di utilizzo. Per il pollice la dimensione della rappresentazione corticale era correlata anche con le fluttuazioni quotidiane nell'uso del touchscreen.

Questi risultati sostengono pertanto che l'uso ripetitivo dei touchscreen rimodella l'elaborazione somatosensoriale nella punta delle dita e indicano anche che tale rappresentazione può cambiare in un breve lasso di tempo (giorni), a seconda dell'uso del dispositivo.

Si può quindi sostenere che l'elaborazione corticale è continuamente modellata dall'uso dei media digitali. Ciò che non è stato studiato ma potrebbe e dovrebbe essere esplorato in futuro è se tale espansione corticale nella punta delle dita si sia verificata a scapito di altre capacità di coordinazione motoria (Webster et al., 2019).

 

Media digitali e sviluppo del cervello

Per una comprensione più esaustive degli effetti dei media digitali sul cervello, oltre alle componenti motorie devono essere esplorati gli effetti che questi producono sul linguaggio, la cognizione e la percezione degli oggetti visivi nel cervello in via di sviluppo.

Secondo alcuni autori (Gomez et al., 2018), lo sviluppo del sistema visivo può essere influenzato dal contenuto dei media digitali. Per esplorare questo aspetto è stata utilizzata la Risonanza magnetica funzionale (fMRI) per scansionare il cervello di soggetti adulti che avevano giocato intensamente al gioco dei Pokémon quando erano bambini. Dal punto di vista neurobiologico il riconoscimento di volti e oggetti è ad opera del lobo temporale ventrale (Mishkin et al., 1983).

I Pokémon rappresentano una miscela di personaggi umanizzati simili ad animali e rappresentano un'immagine visiva unica non visibile e riscontrabile negli ambienti umani. Solo soggetti con un'intensa esperienza con i Pokémon durante l'infanzia hanno mostrato una reattività corticale distinta alle figure dei Pokèmon distribuita nel loto temporale ventrale vicino alle aree di riconoscimento facciale.

Questo risultato da una parte potrebbe far supporre che l'uso dei media digitali determina una rappresentazione funzionale e duratura unica di oggetti e figure digitali anche decenni dopo, mentre dall'altra non è chiaro se questi dati confermino semplicemente l'enorme plasticità del cervello nell'aggiungere rappresentazioni di nuove classi di oggetti o se la rappresentazione degli oggetti derivante dall'uso intensivo dei media digitali possa produrre conseguenze negative per il riconoscimento e l'elaborazione del volto come conseguenza della competizione per lo spazio corticale.

Rispetto alla componente dell'empatia, altri studi (James et al., 2017) hanno evidenziato che nei giovani adulti si segnala una correlazione tra il tempo trascorso sui media digitali ed una minore empatia cognitiva con le altre persone sia come causa della mancanza di comprensione di ciò che le altre persone potrebbero pensare (teoria della mente) o per problemi legati al riconoscimento delle emozioni o mancanza di tempo trascorso con i coetanei come conseguenza di un eccessivo tempo speso online.

Un'altra area interessante su cui si è focalizzata la ricerca è quella della semantica e della grammatica. La letteratura si è cioè interrogata se lo sviluppo di processi linguistici sia in qualche modo influenzato dall'uso intensivo dei dispositivi digitali.

A questo proposito, attraverso l'uso del tensore di diffusione MRI che fornisce stime dell'integrità della materia bianca nel cervello, si è visto che l'uso precoce di schermi nei bambini in età prescolare produce un'influenza negativa sulle reti linguistiche.

Attraverso la somministrazione di test cognitivi e l'utilizzo contemporaneo del tensore di diffusione si è osservata una correlazione tra l'uso intensivo dei media digitali nella prima infanzia ed una minore integrità microstrutturale dei tratti della sostanza bianca, in particolare tra le aree di Broca e di Wernicke (Grosse Wiesman et al., 2017; Skeide & Friederici, 2016).

Altri autori (Hutton et al., 2019) affermano: “Dato che l'uso dei media digitali basati sullo schermo è onnipresente e in aumento nei bambini a casa e negli ambienti scolastici, questi risultati suggeriscono la necessità di ulteriori studi per identificare le implicazioni per il cervello in via di sviluppo, in particolare durante le fasi di crescita dinamica del cervello nella prima infanzia”.

 

L'impatto dei media digitali varia in funzione dell'età

Sulla base di quanto esposto sino ad ora si potrebbe supporre che gli effetti ed i possibili aspetti positivi o negativi dell'uso dei media digitali dipendano dal tempo di consumo totale e dalla componente cognitiva coinvolta. Tuttavia, è bene precisare che tali effetti dipendono anche dall'età.

Gli effetti negativi sui bambini in età prescolare potrebbero infatti essere molto diversi da quelli osservati negli adulti con una dipendenza da internet o dagli effetti osservati negli anziani.

A tal proposito, l'allenamento del cervello in età avanzata attraverso l'uso dei media digitali potrebbe produrre conseguenze diverse rispetto al tempo trascorso dai bambini in età prescolare.

L'invecchiamento dipende da una moltitudine di fattori tra cui la genetica, lo stile di vita e la capacità di mantenere allenato il cervello (Cabeza et al., 2018).

In uno studio di Kuhn e colleghi (2018) sono stati utilizzati i media digitali con dei soggetti anziani e si è osservata una maggiore capacità di attenzione attraverso l'uso di giochi per computer il cui obiettivo era allenare l'inibizione della risposta.

La formazione è stata eseguita per un periodo di due mesi attraverso l'utilizzo di tablet e sono state osservate significative inibizioni laterali rispetto al gruppo di controllo.

Questi risultati erano correlati ai processi di crescita, con un maggiore spessore corticale nel giro frontale inferiore destro (rIFG), triangularis o porzione intermedia dell'area di Broca.

Questi effetti, secondo gli studiosi sono mediati da processi di plasticità strutturale, e dipendono dal tempo impiegato per svolgere l'attività di allenamento: i risultati migliorano in correlazione lineare con il tempo di allenamento.

Nel complesso, si può riassumere che i programmi di formazione digitale basati sul gioco potrebbero favorire la cognizione negli anziani ed è in linea con altri studi che dimostrano che l'allenamento dell'attenzione è mediato dall'aumento dell'attività nel lobo frontale (Klingberg, 2010).

Altri studi hanno supportato questi risultati mostrando che la formazione informatica è un possibile strumento per allenare il cervello nelle persone con età superiore ai 65 anni di età e che i programmi di allenamento del cervello possono aiutare a promuovere un sano invecchiamento cognitivo (Pallavicini et al., 2018).

 

Potenziamento neuronale con dispositivi elettronici.

I dispositivi elettronici possono essere generalmente utilizzati anche per stimolare direttamente il cervello umano. La difficoltà riguarda però il fatto che il cervello umano non è paragonabile alla macchina di Turing, e l'algoritmo che usa è meno chiaro. Per questo motivo, è improbabile che il cervello possa essere riprogrammato dalle tecnologie digitali o che la semplice stimolazione di alcune aree cerebrali aumenti le capacità cognitive.

Tuttavia, in alcuni studi (Widge et al., 2019; Lozano et al., 2019) si è osservato che la stimolazione cerebrale profonda come opzione di trattamento per il morbo di Parkinson, la depressione o la dipendenza produce risultati positivi.

Inoltre, la ricerca sulle cosiddette interfacce cervello/macchina (BMI) ha dimostrato che per quanto riguarda le funzioni motorie e l'assimilazione di strumenti artificiali, ad esempio protesi robotiche, vengono incorporate nella rappresentazione somatosensoriale del cervello (Carmena et al., 2003).

Ciò avviene perché in parte i neuroni imparano a rappresentare dispositivi artificiali tramite processi di plasticità sinaptica dipendente dall'attività e ciò potrebbe dimostrare che il nostro senso di Sè può essere alterato dalle tecnologie elettroniche per incorporare dispositivi esterni.

 

Conclusioni

Il cervello è influenzato dal modo in cui lo usiamo. Non è difficile aspettarsi che l'uso intensivo dei media digitali cambierà il cervello umano a causa dei processi di plasticità neuronale. Tuttavia, come emerso dal presente studio, è meno chiaro come le nuove tecnologie cambieranno la cognizione umana e l'elaborazione emotiva in un contesto sociale.

Un limite è che molti studi fino ad ora non hanno tenuto conto di ciò che gli esseri umani fanno quando sono online, di ciò che vedono e del tipo di interazione cognitiva richiesta durante il tempo trascorso sullo schermo. Ciò che è chiaro è che i media digitali hanno un impatto sul benessere psicologico umano e sulle prestazioni cognitive, e questo dipende dal tempo totale sullo schermo e da ciò che le persone stanno effettivamente facendo nell'ambiente digitale (Reeves et al., 2020).

 


Giorgia Lauro
, Psicologa clinica e Sessuologa Socio Ordinario della Società Italiana di Psicologia On Line (SIPSIOL)
Lavora su Pescara e Francavilla al Mare (CH). Si occupa principalmente di clinica per coppie e adulti.

 

Bibliografia

  • Cabeza R, Albert M, Belleville S, et al Maintenance, reserve and compensation: the cognitive neuroscience of healthy ageing. Nat Rev Neurosci. 2018;19(11):701–710.
  • Carmena JM, Lebedev MA, Crist RE, et al Learning to control a brain-machine interface for reaching and grasping by primates. PLoS Biol. 2003;1(2):E42
  • Grosse Wiesmann C, Schreiber J, Singer T, Steinbeis N, Friederici AD. White matter maturation is associated with the emergence of Theory of Mind in early childhood. Nat Commun. 2017;8:14692.
  • Hutton JS, Dudley J, Horowitz-Kraus T, DeWitt T, Holland SK. Associations between screen-based media use and brain white matter integrity in preschool-aged children. JAMA Pediatr. 2019:e193869.
  • James C, Davis K, Charmaraman L, et al Digital life and youth well-being, social connectedness, empathy, and narcissism. Pediatrics. 2017;140(suppl 2):S71–S75.
  • Klingberg T. Training and plasticity of working memory. Trends Cogn Sci. 2010;14(7):317–324.
  • Kuhn S, Lorenz RC, Weichenberger M, et al Taking control! Structural and behavioural plasticity in response to game-based inhibition training in older adults. Neuroimage. 2017;156:199–206.
  • Lozano AM, Lipsman N, Bergman H, et al Deep brain stimulation: current challenges and future directions. Nat Rev Neurol. 2019;15(3):148–160
  • Mishkin M, Ungerleider LG, Macko KA. Object vision and spatial vision: two cortical pathways. Trends Neurosci. 1983;6:414–417
  • Pallavicini F, Ferrari A, Mantovani F. Video games for well-being: a systematic review on the application of computer games for cognitive and emotional training in the adult population. Front Psychol. 2018;9:2127.
  • Reeves B, Robinson T, Ram N. Time for the Human Screenome Project. Nature. 2020;577(7790):314–317
  • Skeide MA, Friederici AD. The ontogeny of the cortical language network. Nat Rev Neurosci. 2016
  • Widge AS, Zorowitz S, Basu I, et al Deep brain stimulation of the internal capsule enhances human cognitive control and prefrontal cortex function. Nat Commun. 2019;10(1):1536.

Seguici sui Social

Cerca

Iscriviti gratuitamente alla NewsLetter

Accetto la Privacy policy